13 gennaio 2016

Il futuro (?) della Legge 210 del 1992

Il silenzio rigetto: una prognosi infausta dal sapore antisociale che fa riflettere…




I nostri più assidui lettori conoscono bene la Legge 210 del 1992, che è stata posta dal Legislatore allo scopo di riconoscere il danno da trattamento sanitario obbligatorio per disposizione di legge nei confronti dei diretti danneggiati o dei superstiti di vaccinazioni obbligatorie o raccomandate (dal 2012, cfr. Sentenza della Corte Costituzionale n° 107 di tale anno), oltre che da somministrazione di emoderivati infetti e di Talidomide.
Tale norma ha rappresentato una conquista sociale di grande rilievo, in quanto ha consentito al nostro Paese, fra i primi al mondo, di garantire una tutela effettiva alle sempre più numerose vittime della sanità pubblica, che in modo sia pure non intenzionale ha leso un diritto fondamentale, e che rappresenta la traduzione normativa del combinato disposto degli articoli della Costituzione 2, 3 e 32.
Una serie di circostanze, nell’ultimo decennio, ha spinto il Ministero della Salute, organo deputato alla attuazione della volontà del Parlamento, ad operare quantomeno una stretta nella sua applicazione, vanificando in tale modo lo spirito e l’effettività della tutela della legge 210 del 1992. 
Riportiamo in un elenco puntuale gli elementi di fatto che motivano, sostanziandola, la precedente mia asserzione:
1)    aumento degli indennizzi per i danneggiati da vaccino operato con Legge 229 del 2005, effettuato senza una adeguata valutazione della base numerica degli aventi diritto (furono ed in parte ancora sono esclusi dal beneficio, dopo dieci anni, alcuni danneggiati che erano stati riconosciuti con sentenza del Giudice in luogo del preventivo procedimento amministrativo);
2)    inadeguatezza degli accantonamenti a copertura della norma del 2005;
3)    aumento esponenziale del dato statistico di reazione avversa di nuove patologie, afferenti al vaccino, supportate da cospicui studi scientifici internazionali ancora non adeguatamente considerati dalla Amministrazione sanitaria pubblica;
4)    vanificazione della funzione della procedura amministrativa di primo livello (visita medica presso la C.M.O.), attraverso la mancata selezione di personale medico competente nella materia;
5)    aumento del contenzioso giudiziario, non adeguatamente filtrato con l’esercizio efficace (in senso tecnico, non ideologico) della azione amministrativa di primo e secondo livello.
Se quanto riferito sino ad ora non bastasse per dipingere un quadro a tinte fosche sullo “stato di salute” della Legge 210 del 1992 dobbiamo aggiungere la notizia di una improvvida riforma del procedimento amministrativo di accertamento del nesso causale e della tempestività della domanda, operata dal D.P.R. 151 del 31 Luglio 2014 sulla durata e la natura della decorrenza dei termini di esame del ricorso gerarchico (secondo grado amministrativo).
Viene infatti introdotto, mutuandolo dalla tradizione di diritto amministrativo “canonico”, l’istituto del silenzio rigetto, che palesa il diniego della prestazione previdenziale richiesta dopo soli 90 giorni dalla presentazione del ricorso amministrativo.
Risulta molto difficile comprendere la congruità ed opportunità, in campo previdenziale, di uno strumento tipicamente destinato alla burocrazia statale per pratiche non attinenti alla tutela di diritti personalissimi quale quello della salute, per giunta compresso nel suo esercizio dai precedenti (D.M. del Ministero della Salute n° 514 del 18 Novembre 1998) 390 giorni agli attuali 90, che rappresentano la metà del termine ordinario per i giudizi in materia previdenziale contro i provvedimenti dell’ INPS!
In forza di tale regolamento di attuazione il Ministero della Salute, sistematicamente dal 2014, ha invertito la prassi statistica di dare anche una semplice risposta, sia essa positiva o negativa poco importa, in nove casi su dieci, forte del suo diritto ad esprimere una prognosi infausta alla malcapitata famiglia di turno, allo scadere di una clessidra invisibile...
Se le esigenze di bilancio sembrano motivare la sistematica frustrazione delle legittime istanze di tutela dei danneggiati, come appare dai fatti, si impone una drastica riforma della legge, ed è bene che il Parlamento intervenga subito, riformando una norma che di fatto non viene più applicata correttamente, da dieci anni a questa parte.
Ulteriore prova di quanto ho appena affermato è data dalla risposta alla interrogazione della Camera dei Deputati presentata dall’On. Di Vita e protocollata al numero 5-06757 fornita dal Ministero della Salute in data 15 Dicembre 2015: i danneggiati da vaccino riconosciuti ed indennizzati sono 620, esattamente gli stessi del 2005!
Auspico che la riforma si ispiri alla garanzia del diritto da parte dei danneggiati di accedere senza spese aggiuntive alle migliori e più efficaci cure, che oggi, per ancora troppe patologie, restano appannaggio dei professionisti privati, i quali stentano ad avere un accreditamento da parte del servizio sanitario pubblico.
In tale modo si potrà venire anche incontro alle esigenze di riduzione della spesa pubblica attraverso la soppressione o riduzione dell'indennizzo mensile, fermo restando che, anche in materia di sanità, la lotta agli sprechi, alle malversazioni ed alla corruzione dovrebbe essere considerata una priorità ineludibile da parte del nostro Ministero… 

Ognuno e ciascuno di noi faccia la sua parte, per il bene di questo Paese!

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