25 febbraio 2020

Alimentare la paura: note a margine di una #epidemia (spoiler: niente paura!)

a cura del Dottor Eugenio Serravalle
Scrivo queste note su sollecitazione di tanti genitori preoccupati in maggioranza, spaventati in molti, sbigottiti nella totalità. Non ho aggiornamenti particolari da proporre, né complotti da denunciare, né scoperte mirabolanti da evidenziare, mi limito ad esporre alcune riflessioni sul clima che si sta creando, determinato dalle decisioni di politica sanitaria adottate, della comunicazione fornita dalle Istituzioni e dal ruolo che stanno avendo gli organi di informazione.
Partiamo da quello che, ad oggi, appare certo: “Il Coronavirus, dai dati epidemiologici fin qui disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva”, afferma il 21 febbraio in una nota il Cnr, ricordando che “Il rischio di gravi complicanze aumenta con l’età, e le persone sopra 65 anni e/o con patologie preesistenti o immunodepresse sono ovviamente più a rischio, così come lo sarebbero per l’influenza”.
Il tasso di letalità (numero di decessi/numero totale di casi confermati) in Cina, secondo quanto riportato dal Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, è del 2,3% e si basa sui 1.023 decessi tra 44.415 casi confermati in laboratorio all’11 febbraio. Tale dato non include il numero di infezioni più lievi che potrebbero sfuggire all’attuale sorveglianza (poiché è focalizzata su pazienti con polmonite che necessitano di ricovero) e non considera i casi recentemente confermati che potrebbero sviluppare una malattia grave e, in alcuni casi, fatale. Anche queste cifre, nel corso dell’epidemia, potranno variare e saranno aggiornate. Al di fuori della Cina il tasso di mortalità sembra inferiore, ma è presto per dirlo, visto che non si conosce ancora l’esito finale della malattia nelle persone con la patologia in atto.
Sulla base del numero di infezioni totali stimato, si può calcolare invece il tasso di mortalità per infezione, quindi la percentuale di casi, tra tutte le infezioni di nuovo coronavirus, diagnosticate e non, in cui la malattia risulta fatale. Al momento le stime di tale tasso variano dallo 0,3%, all’1%. 
Secondo le stime del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia ogni anno circa il 9% della popolazione è colpito dall’influenza, con un numero di morti diretti che oscilla tra i 300 e i 400 e con un numero di decessi che oscilla tra i 4 mila e i 10 mila per chi sviluppa complicanze gravi a causa dei virus influenzali. Il tasso di letalità (ossia il rapporto tra morti e contagiati) si attesta quindi intorno allo 0,1%. 
Nessuno però riesce a spiegare perché proprio l’Italia sia diventato il primo paese in Europa e il terzo nel mondo con casi confermati di infezione.
Questo ha generato l’adozione di misure straordinarie di isolamento nelle zone interessate dal cluster epidemico e la diffusione della paura in tutto il paese. Le immagini delle persone in fila davanti al supermercato con il carrello vuoto e la inutile mascherina di ordinanza sul volto ricordano i peggiori film catastrofistici e suscitano paure ancestrali presenti in tutti noi. Sfogliando oggi i giornali online non riesco a trovarne alcuno che non abbia fotografie con persone spaventate che vorrebbero proteggersi grazie a guanti e mascherine. Il terrore è in prima pagina, ovunque, e questo non fa che accrescere l’epidemia di paura, alimentata anche da alcuni “esperti”, cui pochi riescono o hanno tempo e voglia di tenere testa. E’ stato sufficiente che Maria Rita Gismondo, direttore responsabile del laboratorio di Macrobiologia Clinica, Virologia e Diagnostica Bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, la struttura in cui vengono analizzati da giorni i campioni di possibili casi di Coronavirus dopo la scoperta del focolaio in Lombardia abbia affermato che: «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così» per essere duramente attaccata e offesa. «Vi ricordo – aggiunge – che ad oggi i morti per Coronavirus in Italia sono 2 e 217 per influenza. Credo che nella comunicazione qualcosa non funzioni!». 
Un’altra illustre virologa italiana, Ilaria Capua, intervistata a “In 1/2 ora” da Lucia Annunziata afferma: “non c’è da piangere ma nemmeno da ridere, bisogna solo seguire pedissequamente quello che le organizzazioni internazionali ci dicono di fare”. Secondo la scienziata, che negli Stati Uniti dirige il One Health Center of Excellence della University of Florida, “l’Italia sta vivendo una situazione più critica perché sta cercando i casi più attivamente di altri”. Una tesi confermata anche dal premier Conte, secondo il quale l’Italia è il paese europeo con più diagnosi perché è quello che ha effettuato più tamponi, oltre 4mila. Secondo la Capua, “Avremo a che fare con questo virus per un po’ di tempo, ma usiamo tutti il cervello ed evitiamo che girino notizie stupide che spaventano le persone più fragili”. 
Le notizie stupide girano per vari motivi, alimentate dalle polemiche politiche, dal bisogno di sostenere i propri interessi o la propria immagine, dalla necessità di alimentare la paura per rafforzare il proprio ruolo professionale. Il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità sono giustamente preoccupati per il rischio che le fake news possano influenzare e spaventare le persone, raccomandando di consultare solo le fonti ufficiali.
Voglio, a tal proposito, segnalare un fatto macroscopico. All’unisono i giornali pubblicarono il 2 febbraio la notizia: “Isolato il coronavirus all’Ospedale Spallanzani di Roma; ora che si conosce meglio la sua “faccia”, combatterlo potrebbe essere più facile: nella corsa dei laboratori di tutto il mondo, l’Italia incassa un successo riuscendo a isolarlo e depositando le informazioni per metterle a disposizione della comunità scientifica”. In realtà il coronavirus SARS-CoV-2 è stato sequenziato a metà gennaio dai ricercatori cinesi e successivamente in altri laboratori nel mondo. Preoccupa che una notizia evidentemente falsa e così facile da verificare abbia “contagiato” tutti i giornali, dando l’impressione di avere a che fare con una stampa terribilmente prona alla ripetizione acritica di qualunque notizia, anziché alla verifica di quanto va diffondendo.
“Le epidemie e le pandemie (qualunque esse siano) sono importanti minacce per la vita e la salute e richiedono grandi sforzi per essere contenute e rese meno gravi” riporta il documento del corso FAD COVID-19, la malattia da nuovo coronavirus. “Le difficoltà nella loro gestione dipendono da molteplici fattori, a partire dalla imprevedibilità e mutabilità che le caratterizza, per arrivare all’indispensabilità di coordinamenti internazionali e nazionali, specie nell’attuale situazione di globalizzazione e di interconnessione rapida di persone e merci. Una ulteriore difficoltà consiste nel fornire informazioni tempestive, comprensibili e il più possibile accurate sia agli operatori sanitari sia alla popolazione generale, mantenendo sufficientemente alto il livello di consapevolezza per poter individuare precocemente casi sospetti o accertati, senza tuttavia suscitare allarmismi.
Anche la confutazione di notizie false e non suffragate da fonti attendibili, tipicamente quelli presenti sui social media, è molto importante per evitare ulteriori danni personali, sociali ed economici: l’ansia e in alcuni casi la psicosi, frutto di notizie incontrollate e allarmistiche, possono provocare discriminazioni totalmente ingiustificate di interi gruppi di popolazione, anche soltanto per l’appartenenza etnica e danneggiare settori economici importanti (come il turismo, il commercio e la ristorazione). Inoltre, l’eccesso di “prevenzione inutile” può sovraccaricare e intasare i servizi sanitari, indurre costi sanitari inutili (per esempio mascherine protettive, esami diagnostici non indicati, visite non necessarie), sottraendo importanti risorse.
Sono invece da favorire tutti quei comportamenti individuali e sociali non medicalizzanti e a costo minimo o nullo, utili anche per prevenire e mitigare altre patologie e per rafforzare la coesione e il supporto sociale e psicologico, anch’essi fondamentali in un momento di crisi, specie in società individualistiche come quelle occidentali”.
La coesione sociale si rafforza attraverso l’informazione completa e indipendente e grazie all’adesione consapevole alle misure individuate come corrette ed efficaci. Chi soffia sul fuoco della paura ha un’idea non scientifica della Sanità che ci preoccupa come e forse più del coronavirus.

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